venerdì 6 giugno 2014

La deriva inarrestabile dell’Europa neoliberista

Le ultime elezioni europee hanno fatto emergere concretamente la realtà di un continente, una volta considerato faro di civiltà e di sviluppo, che si trova attualmente in una fase di grave crisi di identità e nel quale emergono spinte disgregatrici in contrasto con il preteso processo di integrazione peraltro mai realizzato.
L’Europa, per la prima volta nella sua Storia moderna, è affetta da una grave forma di disfacimento che si esprime a vari livelli: economico, culturale, sociale, politico.
Si può capire quanto sia grave questo disfacimento anche se trattasi di un processo iniziato ormai da qualche decennio e non è una questione semplice da analizzare. Volendo classificare  gli aspetti più evidenti ce ne sono tre di sostanziali e collegati fra loro. Il primo, e più immediato, è lo stato degenerativo della democrazia in tutto il continente, di cui la struttura della UE è a un tempo la causa e la conseguenza.
Il carattere oligarchico  delle sue scelte costituzionali, che avrebbero dovuto essere l’ impalcatura di una sovranità popolare graduata in scala sovranazionale, con il tempo si è costantemente consolidata. La possibilità per i cittadini di accedere ai referendum è stata regolarmente resa nulla se questi intralciano la volontà dell’oligarchia insediatasi nelle istituzioni della UE.
Grigi burocrati, mai eletti da nessuno, si sono arrogati del potere di controllare i bilanci degli Stati nazionali dopo aver espropriato i Parlamenti nazionali dal potere di spesa. Gli stessi, attraverso la Commissione ed il Consiglio d’Europa (organismi non elettivi),  esercitano il controllo su tutti i settori più importanti dell’economia, dalla concorrenza alle banche, dalle  regolamentazioni industriali a quelle alimentari, dalle assicurazioni all’agricoltura, alla pesca, ecc.
L’Unione Europea è divenuta con il tempo una sovrastruttura autoreferenziale che trasmette le sue direttive agli stati membri che, senza di essa, potrebbero esercitare molto meglio la loro gestione economica. La UE è dominata dalle lobby di interessi estranei ai popoli (quelli delle grandi banche d’affari e delle multinazionali), che ne influenzano e ne determinano le decisioni e le tendenze con effetti nefasti sulle economie degli Stati più deboli. In ogni nazione, gli esponenti politici, fiduciari dell’oligarchia europea, manipolano le leggi ed i regolamenti in conformità con gli interessi di riferimento, in forma scoperta o sotterranea, facendo passare i provvedimenti come necessari ” per adeguarsi allo spirito dell’Europa” (dicono); il tutto con una campagna di disinformazione dei grandi media, conformi ai gruppi di interesse.
Questo crea alla lunga malcontento e disaffezione nei cittadini che si vedono pregiudicati nei loro diritti e nei loro interessi sistematicamente sacrificati dal superiore interesse dei mercati, della globalizzazione, dell’Europa che prescrive quelle norme e quei regolamenti.
La kermesse elettorale, per eleggere un organismo (il Parlamento europeo) scarsamente influente a livello decisionale,  dominata da propaganda e manipolazione mediatica, ha fatto affiorare il dissenso e l’assenteismo di molti elettori, ma i centri di potere hanno già iniziato una campagna di diffamazione e di manipolazione per convincere l’opinione pubblica del pericolo rappresentato dai movimenti così detti “euroscettici e populisti”.
“Vogliono fermare il progresso, vogliono tornare all’Europa delle guerre e dell’intolleranza, sono razzisti, totalitari, antisemiti”, le accuse più frequenti e quella più subdola “potrebbero turbare l’equilibrio dei mercati”.
Pochi commentatori mettono in evidenza poi , oltre alla inesistente rappresentanza democratica delle istituzioni europee, anche l’aspetto della corruzione che si è insinuato in modo pervasivo nelle classi politiche di quasi tutti paesi europei, anche per effetto dei tanti fondi profusi dalle lobby di interesse, argomento accuratamente occultato dai grandi media, in alcuni paesi si sono create delle sotto strutture di affari ed interessi collegate al potere politico che pilotano tutte le importanti decisioni economiche, gli appalti, le forniture, le opere pubbliche, i finanziamenti pre elettorali, l’assegnazione delle cariche.. In paesi come l’Italia o la Grecia queste sono un male endemico, una caratteristica insita nella politica ma il fenomeno è ben presente anche in paesi come la Germania e la Francia.
Vedi i fondi neri illegali accumulati a suo tempo da Helmuto Kohl per i quali fu sottoposto a procedimento o i lucrosi incarichi ottenuti da Gerhard Schroeder dalla Russia grazie al suo ruolo nel finanziamento della Gazprom. Vedi le accuse in Francia in cui fu coivolto Chirac per appropriazione di fondi pubblici. Tralasciando i noti casi in Italia dove sono state coinvolte tutte le struttre del ptere bancario intrecciato con la politica come MPS, Unipool e le collusioni con le Coop, sempre assegnatarie privilegiate di commesse pubbliche.
Che l’Elite finanziaria dominante, quella delle grandi banche e dei potentati finanziari, sia l’ispiratrice principale delle più importanti decisioni prese dagli organismi europei, non è più un sospetto ma una certezza.
Prova ne sia le posizioni di privilegio riconosciute alle grandi banche con appositi organismi creati dall’oligarchia come il MES/ESM (fondo salva stati) predisposti per salvare le banche a scapito del denaro pubblico, del bilancio degli Stati e del risparmio dei cittadini saccheggiato sistematicamente per prelevare risorse, con provvedimenti di inaudita vessazione fiscale come accaduto in Italia ed in Grecia.
C’è però un’altro aspetto che caratterizza la deriva di questa Europa ed è più profondo e radicato: si tratta del decadimento culturale.
L’occidentalismo e la cultura della modernità di stampo anglo americano è quella che ha preso il sopravvento, presentando quella anglosassone, di stampo evangelico , come una civiltà superiore o addirittura unica rispetto al passato ed al presente, trasversale in quanto si estende dall’Atlantico al Mediterraneo ed aspira a diffondersi per il resto del mondo per “esportare intellettualmente la democrazia”, che con la modernità ha preso il posto del “Summum Bonum “che era proprio della scolastica medioevale.
Gli intellettuali modernisti come i Popper, gli Strauss, hanno influito sulla visione europea predicando il mito della “società aperta” , tollerante e democratica ( nella teoria) che predica il relativismo culturale ed aborrisce il tradizionalismo ed il conservatorismo. Questa concezione in sintesi predica “la democrazia come necessità”, si tratta però di una democrazia svuotata del popolo e riempita con il principio della elite che opera “per il bene ed il progresso” della società. Una concezione che giustifica anche il tirannicidio o l’omicidio mirato quando questo è ritenuto necessario per abbattere un regime anti democratico o tirannicida (ne hanno fatto le spese i Milosevic, i Saddam o i Gheddafi ).
Da qui la pretesa di imporre il sistema della democrazia occidentale anche a popoli che hanno altre culture. L’imperialismo di matrice nord americana come necessità storica e come missione di proselitismo democratico per convertire i popoli.
Derivano da questo anche gli interventi militari al seguito degli USA dove l’Europa si è sempre accodata agli USA, dall’Iraq, alla Libia, per arrivare alla Siria ed un domani all’Iran come obiettivo,
L’attuale dominazione culturale in Europa, di stampo americanoide, realivista e modernista, si basa sull’influenza determinante degli Stati Uniti e di Israele, ove la vecchia Europa è un continente conquistato a questa cultura e ne vengono negate le sue radici cristiane e della tradizione scolastica. Un continente che rappresenta per gli americani niente più che un mercato di consumo ed una base aerea per la proiezione di possibili conflitti contro quei paesi che rappresentano l’”impero del Male” come la Russia, potenza continentale vista come antagonista anche per la visione ideologica di Putin che rilancia la tradizione spirituale della Chiesa Russa ortodossa e della cultura della Santa Russia contro l’Occidente mondialista. Si rilanciano conflitti contro le potenze medio orientali non conformi agli interessi occidentali come la Siria e l’Iran, ritenuti retrogradi e nazionalisti e di conseguenza visti come “stati canaglia”.
Una visione questa che è stata teorizzata come “scontro di civiltà” da intellettuali ed ideologi neo conservatori come S. Huntington, che aveva previsto l’affermarsi di un nuovo ordine mondiale, L. Strauss, . Wolfowitz, R, Perle e L. Kristol.
Tutti intellettuali questi di origine israelitica e di formazione trozkista che si sono arruolati alla visione neoliberista radicale per predicare la “guerra preventiva” e la rivoluzione conservatrice.
Oltre agli effetti nefasti dell’ideologia neoliberista, bisogna considerare l’impatto nei paesi europei, specie in quelli più fragili, del sistema socio-economico, messo a dura prova dalle politiche recessive e di folle austerità dirette dalla oligarchia europea, impatto che ha determinato una esasperazione delle differenze sociali accrescendo come non mai povertà ed emarginazione.  Il fatto che la crisi economica manifestatasi in Occidente nel 2008, sia stata il risultato di decenni di liberalizzazioni nel settore finanziario e di espansione del credito lo ammettono, più o meno, i loro stessi protagonisti; si veda Alan Greenspan.  Grazie al collegamento ed all’interdipendenza tra i paesi occidentali , le banche e le attività immobiliari europee erano già coinvolte nel disastro tanto quanto le loro omologhe statunitensi. Nei paese europei, tuttavia, questa crisi generale è stata notevolmente aggravata da un altro fattore peculiare dell’Unione, le distorsioni create dalla moneta unica imposta a economie nazionali molto diverse tra loro, spingendo le più vulnerabili di esse sull’orlo della bancarotta quando sono state colpite dalla crisi generale.
La ricetta stabilita dagli oligarchi di Bruxelles e dietro isuggerimento di Berlino , aveva previsto non solo un classico regime di stabilizzazione finanziaria mediante tagli alla spesa pubblica e provvedimenti di austerità economica ma anche un patto di bilancio “fiscal compact” che ha fissato un limite uniforme del tre per cento a ogni deficit, imposto come norma costituzionale, realizzando una limitazione economica distorsiva come principio fondamentale della contabilità di Stato, come fosse un dogma, totalmente astratto dalla realtà e dalla necessità di fronteggiare le conseguenze sociali della crisi che al contrario richiederebbero politiche espansive.
In questo contesto, l’Italia è considerata come il caso più accentuato di deformazione funzionale del sistema europeo. Dall’introduzione della moneta unica l’Italia ha segnato il dato economico peggiore rispetto ad ogni altro stato dell’Unione: un periodo di vent’anni di stagnazione virtualmente ininterrotta a un tasso di crescita ben inferiore a quello di Grecia o Spagna. Il suo debito pubblico è superiore a 130 per cento del PIL. Tuttavia bisogna considerare che l’Italia è un paese di dimensione notevole ed è uno dei sei membri fondatori, con una popolazione paragonabile a quella della Gran Bretagna e un’economia pari quasi al doppio di quella della Spagna. Dopo la Germania la sua industria manifatturiera è la seconda maggiore d’Europa, risulta anche anche seconda in classifica nell’esportazione di beni capitali. Le emissioni del suo tesoro costituiscono il terzo maggiore mercato di titoli sovrani del mondo. Quasi metà del suo debito pubblico è detenuto all’estero: il dato paragonabile del Giappone è inferiore al 10 per cento. Nella sua combinazione di peso e di fragilità l’Italia è il vero anello debole della UE, che, in un possibile default, trascinerebbe a picco tutto l’eurosistema..
Questo non può essere consentito nell’interesse delle banche tedesche e francesi in particolare che sono particolarmente esposte verso l’Italia nel caso di un default del paese schiacciato dal debito e che attualmente lucrano, assieme alle altre banche (anglosassoni), dei vantaggiosi interessi sui titoli delle emissioni pubbliche che lo Stato italiano emette per finanzirsi il debito e la spesa statale.
La casta dei banchieri per nulla al mondo permetterebbe un cambio di passo radicale di politica economica dell’Italia quale una procedura di uscita dell’euro o una rinegoziazione del debito. Per questo in ogni governo si assicurano di inviare un loro fiduciario nella stanza dei bottoni (Monti, Grilli, Letta, Padoan) che tenga sotto controllo i conti e si occupi di attuare le direttive che, pur provenendo dalla Commissione Europea, in realtà sono ispirate dall’elite finanziaria.
Sul livello politico il paese viene tenuto sotto controllo tramite il principale partito di governo (il PD) che è del tutto asservito alle logiche del capitale finanziario e con un sistema di ricatti nei confronti di altri esponenti politici dove vengono coinvolti altri apparati dello Stato e della magistratura infiltrati e mantenuti sotto monitoraggio costante.
A questo si aggiungono i principali organi di informazione e reti televisive che, facendo capo a gruppi finanziari e di interesse, sono del tutto coivolti nel gioco della manipolazione delle notizie e nelle campagne mediatiche pro Europa (come accaduto nelle ultime elezioni) e si dispone anche di qualche centinaio (forse migliaio) di “influencers” pagati che operano sulla rete web e sui siti di controinformazione per seminare dubbi, contronotizie e ridicolizzare coloro che sostengono tesi non conformi.
L’efficacia di questo sistema è stata comprovata nel caso delle ultime elezioni europee dove il partito filo Europeo per eccellenza, unico caso in Europa ha conquistato oltre il 40% dei consensi.
I cittadini italiani si sono rivelati i più facilmente influenzabili e quelli meno consapevoli ed in sostanza hanno accettato, dopo una intensa opera di convincimento televisivo, che era cosa buona e giusta consegnare le chiavi di casa propria alla Troika europea per mano del leader fiorentino, Matteo Renzi.
Non accade di frequente che la vittima designata si sistemi la corda attorno al collo con le proprie mani ma gli italiani, inaspettatamente, sono riusciti a fare anche questo.

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