Quando si propone un “arca” capace di salvare il genere umano da una
catastrofe, si pensa al passato, ricordando il racconto biblico
dell’arca costruita da Noè su comando divino, e si pensa al futuro
immaginando navi spaziali autosufficienti in grado di trasportare i
superstiti umani su una nuova Terra.
In realtà, il Progetto Persefone non fa riferimento né al mito, né
alla fantascienza, ma ad un concretissimo piano che permetta all’uomo di
esplorare lo spazio nei prossimi 100 anni.
Il progetto prevede lo sviluppo di “navi spaziali viventi”
completamente auto -sostenibili. Astronavi del genere non solo sarebbero
in grado di ospitare gruppi di coloni in viaggio verso nuovi mondi, ma
anche di accogliere e salvare la popolazione umana in caso di catastrofe
globale.
L’idea di fondo è di creare un vero e proprio “microcosmo”
viaggiante, in grado di produrre autonomamente cibo e acqua per i suoi
abitanti, ma anche sviluppare una propria cultura intergenerazionale,
dato che il viaggio potrebbe durare anche migliaia di anni.
Il Progetto Persefone
è nato dal pensatoio dell’Icarus Interstellar, un’organizzazione non
profit che spera di poter un giorno realizzare il primo volo
interstellare nei prossimi cento anni. L’idea sembra così interessante
da aver attirato l’attenzione sia della Nasa che della Darpa, l’agenzia
governativa del Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti incaricata
dello sviluppo di nuove tecnologie per uso
militare.
militare.
Per effettuare la sua missione, la nave spaziale vivente dovrebbe
essere progettata con un’architettura di alto livello, come ritiene
Rachel Armstrong, leader del progetto e docente presso l’Università di
Greenwich, istituto coinvolto pienamente nella ricerca.
“Persefone è una nave spaziale con un mondo vivente interno”, spiega
Armstrong al Daily Mail. “Non stiamo cercando di prendere roba dalla
Terra per metterla in una pentola gigante: vogliamo progettare un
ecosistema chiuso autosufficiente. Bisognerà tener conto del suolo, dei
cicli climatici e di altri processi che sono alla base della nostra
esistenza”.
Inoltre, la vita su Persefone dovrà includere i progressi
tecnologici. La società che vivrà sulla nave spaziale dovrà essere in
grado di anticipare i passaggi culturali che avverranno sulla Terra.
La ricerca potrebbe avere ricadute positive anche per il futuro della
Terra stessa: la collaborazione tra designer internazionali, ingegneri e
architetti pone una piattaforma per sviluppare prototipi che potrebbero
risolvere alcune delle grandi sfide poste da megalopoli con più di 10
milioni di abitanti, come Pechino, New York e San Paolo, ripensando al
modo in cui abitiamo lo spazio, come costruiamo gli edifici e come
utilizziamo le risorse terrestri.
All’inizio del terzo millennio la Nave Spaziale Terra nono si trova
in una condizione di abbondanza, ma affronta gravi sfide dettate dalla
limitazioni delle risorse naturali determinata dal loro assorbimento nei
moderni processi industriali globali.
Queste pratiche provocano l’interruzione progressiva di cicli
naturali, con il conseguente rischio di compromettere il ciclo
dell’acqua fresca e la progressiva riduzione di suoli fertili. Pertanto,
il tema della sostenibilità potrebbe ricevere un contributo notevole
dall’ingegneria spaziale e dall’architettura destinata alla
progettazione di habitat.
Lo sviluppo sostenibile è un concetto relativamente recente,
intensificato dalla crescente consapevolezza della limitatezza delle
risorse e invita a chiedersi come le generazioni attuali possano
soddisfare i propri bisogni senza compromettere il benessere delle
generazioni future.
Armstrong e il suo gruppo di lavoro si è dato l’obiettivo di
costruire una nave spaziale auto-sostenibile in un secolo, anche se,
come ha lui stesso ammesso, non sa se questo è realizzabile. “Se avremo o
no una nave funzionante in cento anni dipende dai finanziamenti, dal
progresso tecnologico e dal supporto culturale per questo tipo di
progetti”.
Effettivamente, un progetto del genere richiede un cambio del
paradigma che sostiene lo sviluppo umano su questo pianeta e nel cosmo,
in modo da preservare le risorse disponibili e recuperare quelle
compromesse dallo sviluppo predatorio. Per una colonia spaziale
destinata a prosperare nel lungo periodo, questa non è un’opzione, ma un
requisito fondamentale.
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