Un'antica leggenda narra che gli dei nascosero la divinità nell'essere
umano e solo successivamente gli insegnarono un metodo, la meditazione,
per riscoprirla. E ora sappiamo anche quale prodigio genera nel cervello
grazie a un team di ricercatori dell'Università norvegese della Scienza
e della Tecnologia (Ntnu), dell'Università di Oslo e dell'Università di
Sydney. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista
Frontiers
in Human Neuroscience.
La meditazione è una delle attività più raccomandate per ridurre ansia e
stress, migliorare la concentrazione e aumentare il benessere emotivo.
Non solo: proprio per le sue potenzialità, è spesso associata ad altre
terapie per curare malattie gravi, come il cancro, o per migliorare la
perdita di memoria nei pazienti malati di Alzheimer. Ma di questa
tecnica esistono diverse varianti.
Che secondo gli autori dello studio possono essere suddivise in due gruppi principali. Il primo comprende le tecniche di meditazione di concentrazione, in cui chi medita concentra l'attenzione sul suo respiro o su pensieri specifici e, così facendo, sopprime altri pensieri. L'altro gruppo riguarda invece la meditazione non direttiva, in cui ci si concentra spontaneamente sulla respirazione o su un suono, ma la mente può vagare a piacimento. E tuttavia, pur essendo molto diffusa (non soltanto in oriente, ma anche in paesi come gli Stati Uniti, dove il 7 per cento della popolazione ha usato una di queste tecniche almeno una volta), nessuno sa cosa accada al cervello durante questa attività, come dice Jian Xu, ricercatore del Department of Circulation and Medical Imaging alla Ntnu e responsabile del gruppo di ricerca. Così, Xu e colleghi hanno scelto 14 persone con una lunga esperienza di Acem, una tecnica norvegese di meditazione non direttiva, e li hanno sottoposti a una risonanza magnetica (RM) durante momenti di riposo e mentre praticavano le due diverse tecniche di meditazione. L'area sotto osservazione era il lobo temporale mediale destro, quello che sovrintende al riposo. I risultati dello studio, dicono i ricercatori, sono abbastanza sorprendenti: secondo i dati dell'imaging, la meditazione non direttiva provocava in quest'area non soltanto una maggiore attività rispetto alla meditazione di concentrazione, ma anche rispetto al riposo stesso. “Lo studio indica che la meditazione non direttiva lascia più spazio all'elaborazione dei ricordi e delle emozioni di quanto consenta la meditazione di concentrazione”, commenta Svend Davanger, neuroscienziato dell'Università di Oslo e co-autore dello studio. “La meditazione – conclude Davanger - è un'attività che viene praticata da milioni di persone. È quindi importante che scopriamo come funzioni realmente”. Simona Pascucci Riferimenti: Frontiers in Human Neuroscience Doi: 10.3389/fnhum.2014.00086 immagine: AlicePopkorn/Flickr
Che secondo gli autori dello studio possono essere suddivise in due gruppi principali. Il primo comprende le tecniche di meditazione di concentrazione, in cui chi medita concentra l'attenzione sul suo respiro o su pensieri specifici e, così facendo, sopprime altri pensieri. L'altro gruppo riguarda invece la meditazione non direttiva, in cui ci si concentra spontaneamente sulla respirazione o su un suono, ma la mente può vagare a piacimento. E tuttavia, pur essendo molto diffusa (non soltanto in oriente, ma anche in paesi come gli Stati Uniti, dove il 7 per cento della popolazione ha usato una di queste tecniche almeno una volta), nessuno sa cosa accada al cervello durante questa attività, come dice Jian Xu, ricercatore del Department of Circulation and Medical Imaging alla Ntnu e responsabile del gruppo di ricerca. Così, Xu e colleghi hanno scelto 14 persone con una lunga esperienza di Acem, una tecnica norvegese di meditazione non direttiva, e li hanno sottoposti a una risonanza magnetica (RM) durante momenti di riposo e mentre praticavano le due diverse tecniche di meditazione. L'area sotto osservazione era il lobo temporale mediale destro, quello che sovrintende al riposo. I risultati dello studio, dicono i ricercatori, sono abbastanza sorprendenti: secondo i dati dell'imaging, la meditazione non direttiva provocava in quest'area non soltanto una maggiore attività rispetto alla meditazione di concentrazione, ma anche rispetto al riposo stesso. “Lo studio indica che la meditazione non direttiva lascia più spazio all'elaborazione dei ricordi e delle emozioni di quanto consenta la meditazione di concentrazione”, commenta Svend Davanger, neuroscienziato dell'Università di Oslo e co-autore dello studio. “La meditazione – conclude Davanger - è un'attività che viene praticata da milioni di persone. È quindi importante che scopriamo come funzioni realmente”. Simona Pascucci Riferimenti: Frontiers in Human Neuroscience Doi: 10.3389/fnhum.2014.00086 immagine: AlicePopkorn/Flickr
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